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  • in risposta a: Inquinamento delle falde sotterranee: esistono soluzioni? #2750
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    I problemi legati al degrado della qualità delle falde freatiche e, più in generale, delle acque sotterranee sono per molti aspetti più difficili da superare rispetto a quelli riguardanti le acque di superficie. A causa delle eterogeneità intrinseche nei sistemi sotterranei, le zone di acque sotterranee degradate possono essere molto difficili da rilevare. Negli Stati Uniti, quasi ogni caso noto di contaminazione della falda acquifera è stato scoperto solo dopo che un pozzo di approvvigionamento idrico è stato colpito. Spesso, nel momento in cui l’inquinamento del sottosuolo viene identificato in modo definitivo, è troppo tardi per applicare misure correttive che sarebbero di grande beneficio. Dal punto di vista della qualità dell’acqua, il degrado delle acque sotterranee richiede spesso lunghi periodi di tempo prima che la reale portata del problema sia facilmente rilevabile. Sono spesso necessari lunghi periodi di flusso delle acque sotterranee per far sì che gli inquinanti vengano scaricati da falde acquifere contaminate. Perciò, l’inquinamento delle falde acquifere spesso provoca danni irreparabili. Sviluppare previsioni affidabili sul trasporto di contaminanti all’interno dei sistemi di flusso è necessario come base per ridurre al minimo l’impatto delle attività industriali, agricole o municipali esistenti.

    in risposta a: Il corretto dosaggio del cloro nell’acqua potabile #2747
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    Il cloro viene solitamente dosato come soluzione concentrata di ipoclorito di sodio che, una volta disciolto in acqua, forma acido ipocloroso. L’acido ipocloroso è la forma disinfettante attiva del cloro spesso descritta come cloro “libero” o “attivo”. La concentrazione combinata di acido ipocloroso e ipocloriti è spesso descritta come “cloro totale”. Un importante componente del dosaggio del cloro è mantenere un pH di 7,5 che assicura una disinfezione efficace. Gli standard per l’acqua potabile dell’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) stabiliscono che “2-3 mg/l di cloro dovrebbero essere aggiunti all’acqua per avere soddisfacenti disinfezione e concentrazione residua. La quantità massima di cloro utilizzabile è 5 mg/l. Per una disinfezione più efficace le quantità residue di cloro libero dovrebbero superare i 0.5 mg/l dopo almeno 30 minuti di contatto ad un pH di 8 o inferiore”. Per uccidere i batteri è in realtà necessario poco cloro; circa 0.2-0.4 mg/L. Le concentrazioni di cloro aggiunte all’acqua sono tuttavia solitamente più alte, a causa della richiesta di cloro dell’acqua. Al giorno d’oggi il gas di cloro è usato soltanto per grandi installazioni comunali ed industriali di depurazione dell’acqua. Per applicazioni più piccole solitamente si aggiungono ipoclorito di calcio o di sodio.

    in risposta a: Sintomi di avvelenamento radioattivo: come riconoscerli? #2742
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    La cosiddetta “sindrome da radiazioni” dovuta all’esposizione a materiale radioattivo può essere acuta, ovvero si verifica subito dopo l’esposizione, o cronica, dove i sintomi compaiono nel tempo o dopo un po’ di tempo, probabilmente anni dopo. I segni e i sintomi di avvelenamento da radiazioni acuto sono: vomito, diarrea e nausea; perdita di appetito; malessere o inappetenza; mal di testa; battito cardiaco accelerato. I sintomi dipendono dalla dose e dal fatto che si tratti di una dose singola o ripetuta. Una dose di soli 30 rad può portare a: perdita di globuli bianchi, nausea e vomito, mal di testa. Una dose di 300 rad può causare: perdita di capelli temporanea, danno alle cellule nervose, danno alle cellule che rivestono il tratto digestivo. Il rischio di malattia dipende dunque dalla dose e dall’area del corpo esposta. Se tutto il corpo è esposto a, diciamo, 1.000 rad nel giro di poco tempo, ciò potrebbe essere fatale. Tuttavia, dosi molto più elevate possono essere applicate a una piccola area del corpo con meno rischi. Dopo una dose lieve, la persona può manifestare sintomi solo per poche ore o giorni. Tuttavia, una dose ripetuta o anche una singola dose relativamente bassa che produce pochi o nessun sintomo visibile poco dopo l’esposizione può causare problemi in seguito.

    in risposta a: Si può depurare l’acqua radioattiva? #2739
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    Sì, è possibile. Precisiamo innanzitutto che l’acqua non può essere resa “radioattiva”. Può avere delle particelle irradiate sospese in essa. L’acqua stessa, dunque, non sarà radioattiva, ma solo quello che c’è dentro. Ciò premesso, tutte le normali tecniche di purificazione dell’acqua (distillazione, scambio ionico, osmosi inversa, etc.) rimuoveranno quasi tutti i materiali radioattivi dall’acqua. L’eccezione è il trizio, che molto difficile da rimuovere, ma per fortuna non è generalmente una parte importante della radioattività prodotta da un reattore nucleare e non è molto dannoso, relativamente parlando. Il radio può essere rimosso attraverso lo scambio ionico. Il metodo più comune di purificazione di materiali radioattivi in quantità molto minuscole è invece la distillazione, che rimuove i sali, i metalli pesanti e le particelle radioattive. Un altro metodo utilizzabile è l’elettrofiltrazione: la separazione di fasi liquide e solide per estrarre la sostanza pura con l’uso di elettrodi. Filtrando l’acqua si eliminerà anche il fallout radioattivo. Le centrali nucleari generalmente fanno ricircolare l’acqua di raffreddamento, quindi è meno importante se viene contaminata da materiali radioattivi. Tuttavia, purificano quell’acqua per altri motivi, in genere facendola passare attraverso scambiatori di ioni e filtri a carbone.

    in risposta a: Quali sono i principali marker della radioattività ambientale? #2736
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    Alcuni isotopi radioattivi, come lo Iodio-131, sono marcatori di breve durata che indicano il rilascio di nuclidi artificiali nell’ambiente; altri come il Cesio-137 sono antropogenici, ma traccianti di maggiore durata dell’effetto umano sull’ambiente. Infine alcuni isotopi, come il Berillio-7, si presentano senza alcun intervento, essendo il risultato di una sintesi atmosferica attiva ai margini dello spazio. Tutti questi atomi radioattivi possono essere potenti strumenti per comprendere questioni importanti, dalla proliferazione delle armi nucleari, agli effetti degli incidenti nucleari sull’ambiente, ed anche come traccianti per seguire i cambiamenti nel suolo, nell’aria e nell’acqua del nostro pianeta. Oggi, il principale radionuclide che preoccupa nelle prefetture che circondano l’impianto di Fukushima è il Cesio-137, che ha un tempo di dimezzamento (emivita) di 30,1 anni. Nel disastro di Chernobyl lo Iodio-131, che ha un’emivita di 8 giorni, ha avuto pesanti effetti sulle persone. Il Cesio-137 prodotto dall’incidente di Chernobyl rimane problematico in molte parti d’Europa, con la contaminazione di terreni agricoli e generi alimentari come una preoccupazione per le autorità incaricate di limitare la dose al pubblico dal consumo di questi prodotti, perciò viene usato come marker per i controlli sul cibo.

    in risposta a: Come posso eliminare la radioattività? #2733
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    Innanzitutto hai bisogno di un buon rivelatore di radiazioni beta-gamma per sapere dov’è la contaminazione da materiale radioattivo o da fallout. Lo Iodio-131 decadrà in circa 3 mesi, ma gli altri isotopi pericolosi come il Cesio-137 e lo Stronzio-90 non saranno “spariti” per almeno 300 anni. Il combustibile di metalli pesanti, gli altri isotopi che sono stati scaricati si aggirano nell’ambiente per migliaia (o milioni) di anni. Per decontaminare un ambiente avrai bisogno di indumenti come una tuta, guanti in lattice e cotone, cappucci / cappelli, maschere filtranti per la respirazione, etc. da usare mentre si eseguono i lavori di decontaminazione. Tuttavia, sappi che mentre si decontamina un ambiente si assorbono più radiazioni di quelle a cui si vuole essere esposti dopo che si suppone che il pericolo sia passato. È inoltre necessario un box doccia esterno e una scorta di tamponi abrasivi per pulire a fondo piedi / gambe e mani / braccia. Possono essere necessari molti mesi di piogge per far sì che i contaminanti vadano via naturalmente dall’aria e dalla superfici esterne, e naturalmente puoi iniziare a concentrarti lungo i percorsi di drenaggio, sulle piante, etc. Tutte le piante, le zolle, gli arbusti, etc. rimossi dalla tua proprietà dovrebbero essere smaltiti correttamente in una discarica, mai bruciati.

    in risposta a: Quanto dura la radioattività dopo una PET? #2730
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    PET sta per “tomografia ad emissione di positroni”. Si tratta di un test di imaging di medicina nucleare in cui una piccola quantità di materiale radioattivo liquido viene iniettata nel corpo per diagnosticare una varietà di malattie, inclusi molti tipi di tumori e patologie cerebrali e cardiache. La sostanza radioattiva più comunemente utilizzata nella scansione PET è un semplice zucchero chiamato FDG, che sta per “fluorodesossiglucosio”. Viene iniettato nel flusso sanguigno e si accumula nel corpo, dove emette energia sotto forma di raggi gamma. Comunemente la PET utilizza il (Fluoro-18)-FDG come radiotracciante, il cui breve tempo di dimezzamento (110 min) riduce rapidamente l’esposizione alle radiazioni rispetto ad altri radionuclidi comunemente usati, come Tecnezio-99 (6 ore) e Tallio-201 (72 ore), determinando un’esposizione interna al paziente ma una esterna di basso livello per le persone nelle vicinanze. Queste sostanze vengono rilevate dallo scanner PET e un computer converte i segnali in immagini dettagliate o immagini che mostrano come funzionano i tessuti e gli organi. In particolare viene mostrato il proprio metabolismo dello zucchero (come viene usato lo zucchero dal tuo corpo) e le zone con un’attività metabolica aumentata. Ciò è comunemente usato per l’imaging del cancro, poiché le cellule tumorali hanno bisogno di zucchero per crescere.

    in risposta a: La radioattività di Chernobyl nei cinghiali c’è ancora? #2727
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    Sì. In Svezia i livelli di radiazioni dei cinghiali nel 2017 erano oltre 10 volte il limite di sicurezza. Pure in Italia negli ultimi anni sono stati riscontrati nei cinghiali livelli di radioattività abnormi – in pratica significativamente superiori al limite di 600 bequerel per chilogrammo di peso stabilito dall’Unione Europea come livello massimo di radioattività nei selvatici. in circa il 10% dei cinghiali esaminati, e purtroppo ancora oggi solo il 50% del carniere di un cacciatore viene sottoposto ad analisi prima di essere consumato. Anche la Germania ha problemi con i cinghiali radioattivi, che si nutrono di tartufi che tendono ad avere un’alta affinità per il Cesio, i cui isotopi radioattivi sono i principali marker dell’incidente alla centrale nucleare di Chernobyl, in Ucraina, che diffuse sull’Europa una nube tossica radioattiva composta, in particolare, da Iodio-131 e Cesio-137, che ha un tempo di dimezzamento di ben 30,1 anni. Così accade pure per molti tipi di bacche: un esempio ne è la marmellata di frutti di bosco, prodotta in Austria. Il contenuto di Cesio-137 di questa marmellata, pur non essendo nocivo o superiore ai limiti di intervento per limitare il consumo dei prodotti pericolosi, esiste ancora oggi come una sorta di “impronta digitale” del disastro di Chernobyl, a quasi 30 anni di distanza.

    in risposta a: Come si calcola l’attività di una sorgente radioattiva? #2724
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    La radioattività si misura mediante l’attività dell’isotopo che la genera. L’unità di misura per l’attività è il Becquerel o Bq, che è un decadimento al secondo. Un’altra unità è il curie, che è pari a 3,7 x 10^10 Bq. Per calcolare la radioattività, è necessario conoscere il tempo necessario al decadimento del nucleo. Il tempo di dimezzamento td (emivita) di un campione radioattivo è il tempo necessario alla metà della quantità dei nuclei nel campione per decadere, ed è correlata alla costante di decadimento lambda, che ha un valore dipendente dal materiale del campione. La formula è td = ln 2 / lambda = 0,693 / lambda. L’equazione per il tasso di decadimento totale (R) o attività di un campione radioattivo è R = dN / dt = lambda x N = N(0) x e^(-lambda * t), dove N è il numero di nuclei, e N(0) è la quantità iniziale del campione prima del decadimento al tempo t = 0. Ad esempio, il Radio-226 ha un’emivita di 1600 anni. Per calcolare l’attività di un campione di un grammo dove N = 2,66 x 10^21 prima trovo lambda = 0.693 / td = 1,37 x 10^-11 / s. Il tasso di decadimento è quindi dN / dt = lambda * N = 1,37 x 10^-11 / s * 2,66 x 10^21 = 3,7 x 10^10 decadimenti / s = 3,7 x 10^10 Bq.

    in risposta a: Il salmone dell’Alaska è radioattivo? #2721
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    No. I test statali effettuati sui campioni di pesce, in collaborazione con la Food and Drug Administration (FDA) degli Stati Uniti, ribadiscono che la qualità e la salute dei frutti di mare e del salmone dell’Alaska non sono state influenzate dal disastro nucleare alla centrale di Fukushima, in Giappone, del 2011. I test per il 2016 – e anche quelli precedenti risalenti fino al 2014 – non hanno rivelato livelli rilevabili di radionuclidi correlati a Fukushima. I funzionari del Laboratorio di Salute Ambientale di Anchorage hanno usato l’attrezzatura di analisi a raggi gamma inviata dalla Food and Drug Administration per esaminare i campioni. Dunque, attualmente si ritiene che pesci e molluschi delle acque dell’Alaska non siano influenzati dal danno al reattore nucleare in Giappone. Tuttavia, le autorità locali mettono in guardia il pubblico sul fatto che pesci e molluschi sono ancora soggetti alle tossine locali, come quelle che provocano intossicazione da molluschi paralitici. Il primo “salmone radioattivo” attribuito al disastro di Fukushima è stato trovato nel lago Osoyoos, nella Columbia Britannica, in Canada, nel 2015. Aveva livelli bassi ma rilevabili dell’isotopo radioattivo 134 del Cesio, universalmente riconosciuto come marker per la radiazione di Fukushima, in quanto si dimezza in 30 anni, è prodotto principalmente dall’attività umana ed oggi Fukushima ne è l’unica sorgente plausibile.

    in risposta a: Chi fa la radioterapia è radioattivo? #2718
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    La normale radioterapia per irraggiamento esterno utilizza particelle o onde ad alta energia, come raggi X, raggi gamma, fasci di elettroni o protoni prodotti da un acceleratore di particelle all’esterno del corpo, per distruggere o danneggiare le cellule tumorali. Le cellule tumorali crescono e si dividono più velocemente rispetto alla maggior parte delle cellule normali. La radiazione funziona creando piccole interruzioni nel DNA all’interno delle cellule. Queste interruzioni impediscono alle cellule tumorali di crescere e dividersi e le fanno morire. Invece, nella brachiterapia, o “irraggiamento interno”, una sorgente radioattiva (Iodio, Palladio, Cesio o Iridio) viene inserita nel corpo all’interno o vicino al tumore. La radioterapia sistemica, infine, utilizza sostanze radioattive somministrate in vena o per bocca. Anche se questo tipo di radiazioni viaggia per tutto il corpo, la sostanza radioattiva si trova concentrata principalmente nella zona del tumore, quindi c’è poco effetto sul resto del corpo. Inoltre, la sorgente di radiazione è incapsulata, il che significa in pratica che il materiale radioattivo è racchiuso in una capsula metallica non radioattiva. Ciò impedisce ai materiali radioattivi di entrare nel corpo del paziente. Il radioterapista può inserire e rimuovere il materiale radioattivo manualmente dopo aver posizionato il dispositivo di rilascio, o la sorgente.

    in risposta a: Quali sono i minerali da cui si estrae materiale radioattivo? #2715
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    I materiali radioattivi presenti in natura derivano dal decadimento dell’uranio e del torio. Dunque, i minerali da cui si estrae materiale radioattivo sono quelli che sono ricchi di questi due elementi. L’uranio è stato identificato formare 103 diversi minerali, dei quali il più comune è l’uranite. Può formare molti minerali secondari che contengono solfati, silicati, fosfati, etc., così come ossidi multipli. Di solito, la chimica dell’uranio è strettamente legata a quella del torio – altro elemento radioattivo, per l’appunto – in particolare per quanto riguarda la distribuzione nelle rocce ignee. Uranio e torio si osservano in tutte le rocce più grandi che formano minerali. In genere, i minerali ricchi di magnesio e ferro, come pure i graniti, sono ricchi anche di uranio e torio. L’estrazione di minerali contenenti molibdeno e oro è stata associata con i più alti livelli di radiazione nell’aria e nell’acqua, rispettivamente. L’estrazione di minerali può dunque esporre gli esseri umani alla radioattività in molti modi. Il contenuto di uranio e torio di un minerale è un’utile prima stima della radioattività che un minerale può avere. Quest’ultima, a sua volta, dipende dalle caratteristiche geochimiche e dalla storia geologica del minerale in questione.

    in risposta a: Come viene cercata la radioattività negli alimenti? #2712
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    In prima battuta con un buon contatore Geiger per le contaminazioni più elevate, ma per quelle più leggere e per una caratterizzazione di quali siano gli isotopi coinvolti non si può prescindere dall’analisi strumentale del campione nota come “spettrometria gamma”. I nuclidi più importanti marcatori di radioattività per il cibo e, volendo, per un’intera catena alimentare sono gli isotopi Cesio-134 e Cesio-137, nonché lo Iodio-131. Infatti, gli incidenti nelle centrali nucleari portano al rilascio nocivo di isotopi volatili come lo iodio e il cesio. In realtà, anche radionuclidi meno volatili come quelli di stronzio, antimonio, uranio e plutonio possono essere parte dell’aerosol o delle particelle di polvere rilasciate. Di solito, vengono presi in considerazione il Cesio-134 e il -137 come buoni nuclidi indicatori a causa della loro distribuzione nell’ambiente e del lungo tempo di dimezzamento (emivita) del cesio-137, che è di circa 30 anni. Nei primi giorni dopo un incidente (ad es. Fukushima) anche lo Iodio-131 (che ha un’emivita di 8 giorni) inizialmente è stato usato come un nuclide marcatore per la valutazione della contaminazione di alimenti e mangimi. Il Cesio-137 del fallout radioattivo prodotto dall’incidente di Chernobyl è ancora misurabile, in Europa, in funghi, frutti di bosco e carne di cervo, oltre che in molti cinghiali.

    in risposta a: Pellet radioattivo: come riconoscerlo? #2709
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    Un segnale che sia “radioattivo” è che non brucia bene o che quando lo si brucia si rivela con un contatore Geiger un aumento della radioattività di fondo nell’ambiente, ma la conferma dei sospetti può avvenire solo attraverso un’analisi spettrometrica gamma del contenuto radioattivo delle palline di legno e delle ceneri prodotte dalla combustione del pellet, che può essere effettuata dall’Agenzia Regionale per la Protezione dell’Ambiente (ARPA). I pellet contaminati da isotopi radioattivi non sono di per sé pericolosi per l’uomo: i pericoli derivano dalle ceneri e dal fumo prodotto quando vengono bruciati in stufe o caldaie domestiche. Per questo, nel 2009, un tribunale italiano ha ordinato il richiamo di 10.000 tonnellate di pellet di legna da ardere importati dalla Lituania per timore che possa sviluppare livelli pericolosi di radioattività. L’allarme è stato lanciato dopo che qualcuno in Val d’Aosta aveva acquistato il pellet, dopodiché l’aveva inviato ad analizzare perché non bruciava bene. I risultati hanno mostrato che conteneva Cesio-137, un isotopo radioattivo altamente tossico, verosimilmente residuo dell’incidente alla centrale nucleare di Chernobyl, dato che il Cesio-137 dimezza la sua attività in circa 30 anni ed è prodotto principalmente dall’attività umana. Le concentrazioni di attività rilevate dalle autorità italiane nelle ceneri del pellet di legno sono risultate superare il limite previsto dalle leggi nazionali, che per tutti i radionuclidi è di 1 Bq/g (o 1.000 Bq/kg).

    in risposta a: Si può misurare il radon con un contatore Geiger? #2706
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    La questione se i contatori Geiger siano effettivamente adatti per rilevare il radon è discutibile. Molti contatori Geiger sul mercato destinati al grande pubblico non misurano specificamente il gas radon, tuttavia gli esperimenti che utilizzano alcuni di essi in un ambiente controllato con diversi livelli di gas radon hanno dimostrato che i conteggi medi al minuto salivano e scendevano con le concentrazioni di radon. La radiazione rilevata combina le emissioni del radon e dei suoi “figli”. I risultati dell’esperimento hanno mostrato un aumento dei conteggi al minuto lineare con l’aumento della concentrazione di radon, passando da 17 CPM al livello 0 di concentrazione del radon a 33 CPM ad una concentrazione del radon di 65 pCi/litro. In pratica, il radon può essere rilevato con un Geiger se il livello di radioattività di fondo dell’ambiente in cui si tenta di misurarlo è sufficientemente basso, in modo da notare la differenza nei valori dei conteggi al minuto, i CPM per l’appunto. Ricordo però che l’Agenzia per la Protezione dell’Ambiente (EPA) degli Stati Uniti attualmente afferma che dovrebbero essere intraprese azioni correttive se i livelli di Radon superano i 4 pCi/L (4 Pico-Curie per litro) a lungo termine, un valore troppo piccolo per essere rilevato con un Geiger. Per questa ragione, per rivelare il radon esistono dei dispositivi specializzati: i rilevatori di gas radon.

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