I limiti di legge ci proteggono dai campi dei cellulari?

Sugli effetti dei campi elettromagnetici, la comunità scientifica è, all’apparenza, spaccata in due: una parte è su una posizione conservativa e negazionista e l’altra è su una posizione cautelativa. La posizione conservativa, però, come spiegato in un recente convegno sull’elettrosmog dal dott. Paolo Orio, medico e presidente dell’Associazione Nazionale Elettrosensibili, “è il frutto di una ‘grande menzogna’. Si basa infatti su una sorta di “assioma”, cioè su una sorta di verità incontrovertibile: che l’unico effetto dei campi elettromagnetici a contatto con la materia vivente sia un effetto termico!”.

“Se fosse davvero così – una posizione praticamente dogmatica, questa, che risale agli anni Cinquanta e che, come vedremo, è stata ampiamente superata di fatto, nel frattempo, dai risultati di migliaia e migliaia di studi sugli effetti biologici (ovvero, l’anticamera di quelli sanitari) delle radiazioni elettromagnetiche”, ha chiarito Orio, “sarebbe sufficiente stabilire quel valore che produce scosse, ustioni e bruciature per definire dei limiti sicuri per i livelli di esposizione dell’uomo alle radiazioni elettromagnetiche non ionizzanti. E infatti quarant’anni dopo, negli anni Novanta, si auto-costituisce allo scopo un’associazione di privati chiamata ICNIRP (acronimo di “International Commission on Non-Ionizing Radiation Protection”), che vuol dire “Commissione Internazionale per la Protezione dalle radiazioni non-ionizzanti”.

“Questa commissione”, ha spiegato Orio, “era composta da tecnici, in pratica ingegneri e fisici, anziché da medici e biologi, che sono coloro che si occupano della salute. Gli specialisti dell’ICNIRP prendono per buono l’assunto di quarant’anni prima e, nei laboratori di ricerca, riempiono un manichino di plastica alto 2 metri – con un rivestimento inerte rispetto alle onde elettromagnetiche essendo costituito appunto di materiale plastico – con gel proteico (che dovrebbe essere, secondo loro, assimilabile al contenuto del tessuto vivente umano) e lo bombardano con dei campi elettromagnetici”, al fine di vedere a quali valori di soglia cominciano a verificarsi degli effetti termici, cioè legati al calore.

Il dott. Paolo Orio mostra un manichino per far capire come i limiti sul SAR siano basati su qualcosa di molto diverso da un uomo in carne e ossa o da un bimbo. (cortesia Associazione Italiana Elettrosensibili)

 Valori limite arbitrari e unità di misura inventate ad hoc

“L’irradiazione dei manichini – da parte dei tecnici dell’ICNIRP – con questi campi elettromagnetici, fatta separatamente ad alte e basse frequenze”, ha sottolineato Orio, “ha permesso loro di definire in acuto, e solo per gli effetti termici, dei limiti (61 V/m) ben più alti di quelli attualmente presenti in Italia per l’esposizione delle persone ai campi elettromagnetici, cioè dei 6 V/m per i campi ad alta frequenza (come quelli a varie radiofrequenze delle stazioni radio base o, nelle microonde, dei Wi-Fi). Quello italiano è un limite inferiore alle raccomandazioni fornite dell’ICNIRP, ovvero più cautelativo1, ma ancora non sufficiente a garantire la protezione della popolazione dagli effetti biologici e sanitari”.

“Per i campi elettromagnetici ad alta frequenza di una certa intensità – quali ad esempio quelli di cellulari e smartphone, che sono i dispositivi usati più vicini al corpo – i tecnici dell’ICNIRP hanno inventato di sana pianta un’unità di misura che è il SAR, o ‘Tasso di assorbimento specifico’, assai difficilmente riproducibile nel sistema internazionale delle unità di misura”,, spiega Orio. “Il livello di SAR da non superare, nel caso dei telefoni cellulari, è stato fissato dalle normative in 2 W/kg per l’Europa e in 1,6 W/kg per gli Stati Uniti e il Canada. Le attuali normative sui test di conformità SAR per dispositivi wireless consentono però ai produttori di stabilire una distanza di separazione (in genere di circa 15 mm, cioè 1,5 cm) tra il telefono e il manichino di prova”.

I produttori dei telefoni cellulari vi dicono, sul manuale di istruzioni, qual è il SAR del modello che state acquistando – ad esempio, alla distanza di 2,5 cm dall’orecchio il SAR è di 1,5 W/kg – oppure, soprattutto per tutelarsi, vi scrivono di tenere l’apparecchio a una determinata distanza minima dall’orecchio, in modo tale da soddisfare le normative nazionali ai limiti di esposizione SAR, nei Paesi in cui esistono. Chiunque, quindi, può andare a leggere il manuale di istruzioni prima di comprare un determinato modello di smartphone per cercare di farsi un’idea del rischio che corre, anche se molte persone ignorano che quello dichiarato dal produttore non è necessariamente il SAR effettivo che verrà sperimentato dall’utente nell’uso reale dell’apparecchio.

Le istruzioni di alcuni telefonini. Ma chi le legge davvero? (fonte. P. Orio)

Ma, di recente, come ha raccontato Orio, “un medico francese particolarmente curioso, Marc Arazi, si è domandato: se io andassi a vedere il valore di SAR quando il cellulare è tenuto non a distanza di qualche centimetro o millimetro bensì attaccato al corpo, che valori troverei? Allora la French National Frequency Agency (ANFR) – ovvero l’Agenzia nazionale francese che si occupa delle frequenze – è stata stimolata dal Governo, tramite una vertenza legale avviata da parte di Arazi, a fare uno studio per misurare quanto è il valore di SAR in questo caso”. Il governo francese, infatti, si era rifiutato di rivelare i risultati dei test sul SAR fino a quando non c’è stata la pressione esercitata dall’azione legale.

“Ciò che è saltato fuori” – ha spiegato Orio, mostrando la figura qui sotto, diffusa il 1° giugno 2017 dalla Agenzia Nazionale Francese per le Frequenze – “è che il valore di SAR quando il test viene fatto con il telefono a contatto con il corpo è assai più alto rispetto al livello di SAR quando questo è misurato con i normali test previsti dalla normativa, fatti cioè con una certa distanza frapposta fra il telefono e il corpo. Ed i valori trovati da questa indagine, ad esempio, 6 W/kg, sono sicuri per la salute dell’uomo? Vale la pena osservare che in Francia erano stati già ritirati moltissimi cellulari che oltrepassavano il livello di 2 W/kg, e qui stiamo solo parlando del limite per gli effetti di natura termica, non per quelli biologici non termici!”.

I dati rilasciati in Francia che hanno fatto scoppiare il “Phonegate”.

Lo scoppio dello scandalo “PhoneGate” in Francia

L’Agenzia Nazionale Francese per le Frequenze ha rivelato che, nel 2015, la maggior parte dei telefoni cellulari superavano i limiti di radiazioni fissati dal Governo quando venivano testati nel modo in cui vengono realmente utilizzati, e cioè accanto al corpo. I produttori, infatti, non sono tenuti a testare i telefoni nelle tasche delle camicie o dei pantaloni. I test del governo francese effettuati su centinaia di telefoni cellulari rivelano che 9 telefoni su 10 sono andati oltre i livelli di radiazioni riportati dal produttore quando sono stati ri-effettuati nelle posizioni in cui il telefono è in contatto con il corpo. Ciò ha fatto scoppiare in Francia un enorme scandalo, noto come “PhoneGate”.

“Come medico, sono profondamente preoccupato per ciò che questo significa per la nostra salute e in particolare per la salute dei nostri bambini. Le persone hanno il diritto di sapere che, quando i telefoni cellulari vengono testati nei modi in cui le persone usano comunemente i telefonini, i valori superano i limiti normativi attuali. Questa è una prima vittoria per la trasparenza in questo scandalo del settore”, ha commentato Arazi. L’Agenzia ha anche pubblicato i dettagli della marca, del modello e dei risultati dei test per ogni telefono che è stato testato. Tra i modelli di cellulari testati compaiono marchi famosi come Apple, Motorola, Samsung e Nokia. Quando testati a contatto con il corpo, alcuni telefoni hanno dato nei test risultati con SAR pari al triplo di quella riportata in precedenza dal produttore.

Arazi e i suoi colleghi hanno coniato il termine “PhoneGate” a causa dei paralleli con il “DieselGate”, la saga delle emissioni nocive della Volkswagen. Devra Davis, presidente di Environmental Health Trust, ha spiegato in proposito: “Le auto Volkswagen hanno superato i test delle emissioni diesel quando testate in condizioni di laboratorio, ma quando le auto sono state guidate su strade reali, hanno emesso molti più fumi. Allo stesso modo, ognuno di questi telefoni cellulari ha superato i test SAR per le radiazioni in laboratorio. Questi telefoni sono considerati legalmente conformi. Tuttavia, quando questi telefoni vengono testati nel modo in cui le persone li usano effettivamente nella vita reale, come nella tasca dei jeans o nel reggiseno, la quantità di emissioni di radiazioni assorbite nei nostri corpi viola i limiti normativi”.

“Se i telefoni fossero testati nella situazione in cui li usiamo, sarebbero illegali”, ha affermato la Davis, sottolineando che “questi risultati sono stati replicati in precedenza da un laboratorio certificato FCC statunitense come parte di un’indagine da parte della Canadian Broadcasting Corporation. I risultati di livelli di radiazioni più alti del previsto sono stati documentati anche dall’Istituto di tecnologia Holon in Israele e pubblicati sulle news israeliane. Molto più preoccupante è che i limiti normativi non proteggono il pubblico dagli effetti negativi sulla salute legati alle esposizioni a lungo termine”, ha commentato la Davis, facendo riferimento alle ricerche pubblicate di recente sull’argomento.

Se i telefonini venissero testati nelle reali situazioni in cui li usiamo sarebbero illegali.

Ad esempio, gli studi decennali condotti negli USA dal National Toxicology Program hanno rilevato che il glioma (un tumore delle cellule gliali del cervello), alcuni rari tumori del cuore e il danno al DNA cellulare sono aumentati in modo statisticamente significativo nei ratti esposti a radiazioni a lungo termine di un telefono cellulare per 9 ore al giorno, mimando l’ambiente del “campo vicino”, cioè simulando l’energia erogata e assorbita con l’uso del telefonino. E uno studio parallelo sugli effetti a distanza (“campo lontano”) di una stazione radio base della telefonia mobile, effettuato in Italia dall’Istituto Ramazzini, ha trovato risultati in buona parte molto simili ma a livelli di radiazione assai più bassi (pari a SAR dell’ordine di 0,001-0,1 W/kg, cioè dalle 15 alle 1000 volte inferiori a quelli di un cellulare), con la maggior parte dei tumori sopravvenuti in topi di oltre 106 settimane, pari nell’uomo a 65 anni di età.

Dunque, il fatto che non si sia ancora osservato nell’uomo un picco evidente di tumori al cervello – come molti negazionisti spesso sottolineano con un’analisi superficiale del problema – dopo lo studio italiano non è più così rassicurante, dato che la nostra esposizione alle radiazioni dei cellulari è iniziata al più da una trentina d’anni: secondo il modello animale testato, invece, la maggior parte dei tumori si dovrebbe manifestare non a breve, bensì fra anni. “E quand’anche fosse un pericolo di bassa probabilità”, spiega la dottoressa Fiorella Belpoggi, direttrice della ricerca al Ramazzini, “coinvolgerebbe milioni di persone, quindi sarebbe senz’altro rilevante in termini di salute pubblica. Inoltre sull’uomo, nei forti utilizzatori del telefonino, è stato osservato un aumento degli stessi tipi di tumore osservati nei topi”.

Pertanto, il valore ottenuto dal test SAR non è necessariamente rappresentativo dell’assorbimento di una persona durante l’uso effettivo del telefono cellulare. Non a caso, dunque, secondo l’Agenzia nazionale americana per la protezione dei consumatori, non è raccomandato l’uso del dato sul SAR misurato nei test standard per dei confronti tra telefoni cellulari o per valutazioni del rischio che si corre nel loro utilizzo. In breve, la scelta di un telefono con SAR più basso non garantisce in modo affidabile un assorbimento di radiazioni sufficientemente basso durante l’uso normale dell’apparecchio. E l’indagine francese chiarisce anche bene il perché: se il telefonino è attaccato al corpo, il SAR è assai più alto!

Inoltre, un bambino non è alto 2 metri ma al più 60 centimetri, mentre questi test sul SAR sono fatti su manichini di plastica alti 2 metri. “Ovviamente, usare un manichino di tal genere fa molto comodo all’industria”, ha sottolineato Orio, “ma il nostro corpo non è un manichino di plastica: è attraversato da correnti, le cellule vivono grazie a miliardi di scambi ionici di elementi come sodio, calcio, potassio. Il funzionamento elettrico del nostro cervello e del nostro corpo è testimoniato da strumenti come l’elettrocardiogramma, l’elettroencefalogramma e l’elettromiografia, che misurano le correnti endogene”. Dunque, è impensabile che non vi siano effetti biologici dei campi elettromagnetici.

L’elettrocardiogramma è la “prova” dell’attività elettrica del cuore.

Valori limite di legge e soglie per gli effetti biologici

Cosa dicono gli scienziati indipendenti, cioè non legati direttamente o indirettamente all’industria della telefonia mobile e dell’industria elettrica? Premesso che, per fortuna, questi scienziati indipendenti sono tanti in tutto il mondo, scopriamo che oltre 10.000 loro studi (sperimentali, epidemiologici, etc.) pubblicati su autorevoli riviste peer-reviewed – e riguardanti i vari aspetti della questione – ci dicono, in sintesi, che si hanno effetti biologico-sanitari già a valori molto bassi, ovvero non termici, dell’irradiazione elettromagnetica.

Come ha spiegato Orio, “ciò vuol dire, in pratica, che si hanno effetti biologico-sanitari per valori di 1-2 ordini di grandezza inferiori rispetto a quelli che l’ICNIRP negli anni Novanta ha associato agli effetti termici. Io i limiti li devo fissare testando in vivo, non su un manichino di plastica: in tal caso, però, cioè se li determino in base agli effetti biologici che si producono su cellule e tessuti viventi, i limiti si riducono in maniera pazzesca, il che non conviene all’industria. Perciò noi siamo cavie inconsapevoli e gli elettrosensibili si ammalano per questi valori ‘arbitrari’; anche la relazione di Vornoli dell’Istituto Ramazzini (v. l’articolo Antenne telefonia e cancro: lo studio Ramazzini) ci ha mostrato che il cancro viene per l’esposizione a questi valori ‘arbitrari’”.

Per capire per quale motivo le linee guida fissate a suo tempo dall’ICNIRP ignorino del tutto gli effetti biologico-sanitari per esposizioni a bassa intensità ed a breve / lungo termine, cioè per valori di radiazione elettromagnetica inferiori a quelli termici di 1-2 ordini di grandezza, è interessante leggere un articolo di Lennart Hardell – oncologo e professore all’Ospedale universitario di Örebro, in Svezia – pubblicato sulla prestigiosa rivista di settore International Journal of Oncology, e dal titolo “World Health Organization, radiofrequency radiation and health – a hard nut to crack”, ovvero “Organizzazione mondiale della sanità, radiazioni a radiofrequenza e salute – un problema molto difficile da risolvere”. È un lavoro di rassegna sul classico problema dei controllori che non sono realmente indipendenti dai controllati.

Lo sintetizza in modo molto chiaro l’abstract dell’articolo di Hardell: “Nel maggio 2011 l’Agenzia internazionale per la ricerca sul cancro (IARC) ha valutato i rischi di cancro dovuti alle radiazioni a radiofrequenza (RF). Studi epidemiologici umani hanno evidenziato un aumento del rischio di glioma e neuroma acustico. La radiazione RF è stata classificata come gruppo 2B, un possibile cancerogeno per l’uomo. Ulteriori studi epidemiologici, animali e sui meccanismi d’azione hanno rafforzato l’associazione. Nonostante ciò, nella maggior parte dei Paesi è stato fatto poco o nulla per ridurre l’esposizione e istruire le persone sui rischi per la salute derivanti dalle radiazioni RF. Al contrario, i livelli ambientali sono aumentati. Nel 2014 l’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) ha lanciato la bozza di una monografia su “Campi alle radiofrequenze e salute” per dei commenti pubblici. È emerso che 5 dei 6 membri del Core Group responsabili della bozza sono affiliati alla Commissione internazionale per la protezione dalle radiazioni non ionizzanti (ICNIRP), un’ONG fedele all’industria, e quindi hanno un serio conflitto di interessi. Proprio come fatto dall’ICNIRP, la valutazione degli effetti biologici non termici derivanti dalle radiazioni a radiofrequenza viene scartata come prova scientifica degli effetti avversi sulla salute nella Monografia. Ciò ha provocato molti commenti inviati all’OMS. Tuttavia, in una riunione del 3 marzo 2017 presso l’ufficio OMS di Ginevra, è stato affermato che l’OMS non ha intenzione di cambiare il Core Group”.

I conflitti di interesse di alcuni membri dell’ICNIRP scoperti da Hardell ripresi in una slide della presentazione di Paolo Orio. (cortesia Paolo Orio)

“Per questi conflitti di interesse, e dato che esistono sull’uomo non solo effetti non termici, ma anche effetti sulla salute a breve ed a lungo termine indotti dai campi elettromagnetici, a cominciare dalla elettrosensibilità”, ha sottolineato Orio, egli stesso elettrosensibile, “i limiti di legge attuali per l’esposizione alle alte e basse frequenze non tutelano la popolazione”. Una normativa che fosse realmente cautelativa, infatti, si baserebbe: (1) sui dati relativi a studi epidemiologici su popolazioni esposte a campi elettromagnetici; (2) sui risultati sperimentali di laboratorio ottenuti su sistemi irradiati con campi elettromagnetici: soggetti volontari, animali, organi isolati, cellule coltivate in vitro, etc. E, ovviamente, fisserebbe le soglie a valori basati su entrambi i tipi di dati, che oggi non sono presi in considerazione, limitandosi la legge a fissare delle soglie ben più alte, dettate dai soli effetti termici.

Nell’articolo sugli “Effetti biologici dei campi a radiofrequenza” illustreremo in dettaglio, con l’aiuto di numerosi recenti articoli di rassegna che a loro volta analizzavano centinaia di pubblicazioni peer-reviewed sui singoli argomenti, quali siano i principali effetti biologici non termici delle radiofrequenze e in particolare dell’esposizione ai cellulari, nonché quale sia il principale meccanismo di danno. “Dato quindi che migliaia di studi – oltre a quelli decennali dell’Istituto Ramazzini e del National Toxicology Program statunitense – dimostrano l’esistenza di effetti non termici delle radiazioni a radiofrequenza, gli scienziati indipendenti dicono di applicare il principio di precauzione, ovvero”, ha spiegato Orio, “0,03-0,05 V/m (cioè 30-50 mV/m) come valori di attenzione per le radiofrequenze, o almeno come obiettivo di qualità da raggiungere”.

Anche Fiorenzo Marinelli, biologo che per anni ha studiato gli effetti biologici ed i rischi delle onde elettromagnetiche presso l’Istituto di Genetica Molecolare del Consiglio Nazionale delle Ricerche (IGM-CNR) di Bologna ed è fra i massimi esperti in Italia su questo argomento, ha di recente affermato pubblicamente che i limiti per le radiofrequenze in situazioni reali dovrebbero essere più bassi, per tutelare la popolazione, dei limiti di legge attuali e arrivare almeno a 0,6 V/m. Inoltre, ha spiegato che “accettare per i telefonini un SAR limite di 2 W/kg significa, di fatto, autorizzare un campo elettrico di 307 V/m“!

Una slide, presentata dal Dott . Marinelli in una conferenza, sul limite SAR attuale a 2 W/kg. (fonte: Rapporto rischi biologici 29.4.2015 Dr. F. Marinelli)

Invece, noi andiamo nella direzione opposta. Il limite di legge in Italia per le radiofrequenze (6 V/m), trova applicazione per tutte le sorgenti fisse (ad es. le stazioni radio-base della telefonia, le emittenti radio e TV, etc.) ma – curiosamente – non nel caso dei telefonini (evidentemente, in quanto “mobili”). A titolo di esempio, un vecchio cellulare GSM operante su rete 2G alla potenza di 1 W crea un campo di circa 6 V/m già a un metro di distanza e di circa 60 V/m a 10 cm (i moderni smartphone 4G di solito emettono molto meno: circa 1-5 V/m a 10 cm di distanza se il “campo” è buono/medio). I vecchi telefonini che usano il 2G sono noti per comunicare a piena potenza quando si collegano a un numero, perciò un modello vecchio – o magari uno nuovo con poco “campo” – sarebbe facilmente “fuori legge” se gli si applicasse tale normativa.

Potreste obiettare che l’effetto dei telefonini si misura con il SAR e non con il campo elettrico, ma in realtà non è così. Il SAR, infatti, si può ottenere con buona precisione misurando con opportuni strumenti il campo elettrico (in V/m) o l’intensità dell’onda (in W/m2) che arriva sul corpo in esame. I fattori di conversione si calcolano sulla base di modelli fisici dell’organismo. Che il SAR sia stato introdotto per le frequenze fra 100 kHz e 300 GHz, molto verosimilmente, proprio per aggirare il grosso problema che altrimenti sarebbe sorto applicando i normali limiti sul campo elettrico lo si capisce facilmente se si osserva la formula con cui è possibile calcolare il SAR, che è la seguente, dove σ è la conducibilità elettrica della parte testata, ρ è la sua densità media ed E è il valore efficace, appunto, del campo elettrico:

La formula usata per il calcolo del SAR. Si noti il legame di proporzionalità di questa grandezza con il campo elettrico.

 

Note al testo

1 Il limite italiano non nasce per caso: i 6 V/m sono stati posti dall’ISPESL, l’Istituto di Livio Giuliani, nell’Addendum al Documento congiunto ISS-Ispesl sulle problematiche delle esposizioni ai campi elettromagnetici, approvato dal Parlamento italiano all’unanimità con Mozione alla Camera 1-00360 (Mozione Vigni) ed a maggioranza al Senato. Per questo Repubblica ha definito Giuliani “il padre dei 6 V/m” (Affari e Finanza del 20/1/2003) e poi il Corriere della Sera, La Nuova di Venezia, etc. hanno fatto altrettanto.

“Far accettare questi limiti non è stato affatto facile, tra quanti dicevano che in Italia non si sarebbe potuta sviluppare la telefonia e quanti sostenevano che a causa di quel limite l’industria telefonica italiana sarebbe stata gravata da oneri insostenibili”, spiega Giuliani, “invece Omnitel realizzò una delle migliori reti europee nonostante fosse svantaggiata nella competizione, mentre contro il sottoscritto fu fatto avviare all’Ispesl un procedimento di licenziamento, tentativo iterato negli anni successivi altre due volte da altrettanti Governi”.

“Così non è stato, ed abbiamo protetto i cittadini italiani anche da Hot-spot Wi-Fi superiori a 0,1 Watt/m2, e dunque ben inferiori ai 10 W/m2 consentiti in altri Paesi”, rivela Giuliani, che aggiunge “la Svizzera un anno dopo, con la Ordinanza federale ORNI del dicembre 1999, non solo adottò il ‘limite all’impianto’ di 6 V/m ma anche quello, proposto dall’Ispesl, di 3 V/m per le radiazioni modulate in ampiezza (TV), temperato a 4 V/m per il GSM”.

“Dopo la Svizzera, la Polonia, la Russia”, racconta Giuliani, “anche la Cina nel 2003 si rifiutò di adottare i limiti IEEE/ICNIRP basati sul SAR e seguì la ‘via italiana’, con limiti al campi elettrico, magnetico e alla densità di potenza tra 14 V/m e 30 V/m a seconda delle frequenze (tra 10 MHz e 30 GHz), sebbene nel 2008, sotto la pressione di Huawei ed altre compagnie, per l’esposizione parziale alla testa dovuta ai telefonini abbia adottato il SAR ed il limite europeo di 2 W/kg mediato su 6 minuti e su 20 g di tessuto continuo”.

 

Riferimenti bibliografici

  1. Orio P., Presentazione orale “Elettrosmog, una reale emergenza sanitaria: elettrosensibilità”, fatta al Convegno “Elettrosmog ed elettrosensibilità: 5G esperimento sulla salute”, Viareggio, 6 ottobre 2018, https://youtu.be/3BA_sQynzBs?t=5684
  2. Phonegate: French Government Data Indicates Cell Phones Expose Consumers To Radiation Levels Higher Than Manufacturers Claim, https://ehtrust.org/cell-phone-radiation-scandal-french-government-data-indicates-cell-phones-exposeconsumers-radiation-levels-higher-manufacturers-claim/
  3. Hardell L., “World Health Organization, radiofrequency radiation and health – a hard nut to crack (Review)”, International Journal of Oncology, 2017, https://www.ncbi.nlm.nih.gov/pubmed/28656257
  4. Carlberg M. e Hardell N., “Evaluation of Mobile Phone and Cordless Phone Use and Glioma Risk Using the Bradford Hill Viewpoints from 1965 on Association or Causation”, Biom. Research Int., 2017, https://www.elettrosensibili.it/wp-content/uploads/2017/04/HARDELL.pdf
  5. Cell Phone Radio Frequency Radiation Studies, National Toxicology Program, 2018, https://www.niehs.nih.gov/health/materials/cell_phone_radiofrequency_radiation_studies_508.pdf
  6. Wyde M.E. et al., “Effect of cell phone radiofrequency radiation on body temperature in rodents: Pilot studies of the National Toxicology Program’s reverberation chamber exposure system”, Bioelectromagnetics, 2018, https://www.ncbi.nlm.nih.gov/pubmed/29537695
  7. Falcioni L. et al., “Report of final results regarding brain and heart tumors in Sprague-Dawley rats exposed from prenatal life until natural death to mobile phone radiofrequency field representative of a 1.8 GHz GSM base station environmental emission”, Environmental Research, Aprile 2018, https://ehtrust.org/wp-content/uploads/Belpoggi-Heart-and-Brain-Tumors-Base-Station-2018.pdf
  8. “Joining the dots”, by Cellular Phone Task Force, http://www.cellphonetaskforce.org/wp-content/uploads/2011/06/Joining_the_Dots11.pdf
  9. Piccola guida ai campi elettromagnetici, http://people.roma2.infn.it/~carboni/campi-EM/campi.html
  10. Martucci M., Manuale di autodifesa per elettrosensibili, Terra Nuova Edizioni, 2018, https://www.terranuovalibri.it/libro/dettaglio/maurizio-martucci/manuale-di-autodifesa-per-elettrosensibili-9788866813910-236288.html
  11. Staglianò R., “Toglietevelo dalla testa: Cellulari, tumori e tutto quello che le lobby non dicono”, Chiarelettere, 2012, https://www.ibs.it/toglietevelo-dalla-testa-cellulari-tumori-libro-riccardo-stagliano/e/9788861902282

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