Inquinamento dell’aria: la normativa italiana

La normativa italiana in materia di tutela dall’inquinamento, emanata in attuazione delle relative direttive dell’Unione Europea (il cui recepimento è obbligatorio, pena una procedura di infrazione, per cui possono essere presenti tali e quali nella legislazione nazionale o regionale), si articola sostanzialmente su due piani: la qualità dell’aria e la disciplina delle emissioni in atmosfera.

La prima fissa i limiti di accettabilità ed i requisiti di qualità dell’aria nei centri urbani e, più in generale, sul territorio. La seconda, invece, è rivolta al controllo dell’inquinamento prodotto dalle aziende attraverso l’individuazione di parametri di riferimento che devono essere fissati per le varie sostanze inquinanti. Si noti che, per quanto riguarda l’osservanza delle norme tecniche relative alla qualità dell’aria, essa non è assolutamente obbligatoria, a meno che non sia specificato dalla normativa legislativa.

Oltra a ciò, la legislazione italiana presenta numerose carenze macroscopiche: ad es. sottovaluta l’importanza dell’inquinamento delle grandi navi nell’area dei porti legato all’elevato tenore di zolfo nei combustibili ad uso marittimo, specie per le soste brevi; non impone che la comunicazione al pubblico dei dati di qualità dell’aria misurati avvenga in tempo (quasi) reale – come avviene ormai in tutti i Paesi avanzati del mondo – al fine di permettere la tutela della salute delle persone.

Può essere utile sapere che la legge italiana dà, nel decreto legge noto come “Testo Unico Ambientale”, la seguente definizione di inquinamento atmosferico: “Ogni modificazione dell’aria atmosferica dovuta all’introduzione nella stessa di una o più sostanze in quantità e con caratteristiche tali da ledere o costituire un pericolo per la salute umana per la qualità dell’ambiente, oppure tali da ledere i beni materiali o compromettere gli usi legittimi dell’ambiente” (D.Lgs. 152/2006, art. 268).

 

Emissioni in atmosfera di impianti e attività

Le norme in materia di tutela dell’aria e di riduzione delle emissioni in atmosfera sono anch’esse contenute nel già citato Testo Unico Ambientale (D.Lgs. 152/2006), che integra o modifica le disposizioni preesistenti. In particolare, l’ampia disciplina delle emissioni in atmosfera è contenuta nella Parte III di tale Codice, che comprende 32 articoli e 10 allegati, ed è divisa nei seguenti 3 titoli:

  • Titolo I – Prevenzione e limitazione delle emissioni in atmosfera di impianti e attività (artt. 267-281)
  • Titolo II – Impianti termici civili (artt. 282-290)
  • Titolo III – Combustibili (artt. 291-298).

Il decreto stabilisce i valori di emissione (art. 271, e l’Allegato I alla parte V fissa infatti i valori limite, con l’indicazione di un valore massimo e di un valore minimo), le prescrizioni, i metodi di campionamento e di analisi delle emissioni ed i criteri per la valutazione della conformità dei valori misurati ai valori limite. Sono esclusi dal campo di applicazione del decreto gli impianti disciplinati dal D.Lgs. 133/2005, recante attuazione della direttiva 2000/76/CE in materia di incenerimento dei rifiuti.

La regione o la provincia autonoma può stabilire, con legge o con provvedimento generale, sulla base delle migliori tecniche disponibili, valori limite di emissione compresi tra i valori minimi e massimi fissati dall’Allegato I alla parte V del D.Lgs. 152/2006. L’Allegato V, invece, stabilisce apposite prescrizioni per le emissioni di polveri provenienti da attività di produzione, manipolazione, trasporto, carico, scarico o stoccaggio di materiali polverulenti e per le emissioni in forma di gas o vapore derivanti da attività di lavorazione, trasporto, travaso e stoccaggio di sostanze organiche liquide.

L’Allegato III alla parte V del D.Lgs. 152/2006 stabilisce, relativamente alle emissioni di Composti Organici Volatili (COV), i valori limite di emissione, le modalità di monitoraggio e di controllo delle emissioni, nonché i criteri per la valutazione della conformità dei valori misurati ai valori limite. Esso contiene la normativa delle emissioni di tali composti approvata dall’Unione Europea, già recepita con il D.M. 44/2004. Il suddetto recepimento è avvenuto senza modifiche significative.

Gli artt. 273 e 274 del D.Lgs. 152/2006 sono dedicati ai cosiddetti “grandi impianti di combustione” destinati alla produzione di energia – cioè di potenza termica nominale non inferiore a 50 MW di picco, come ad esempio le centrali a combustibili fossili – ed alla raccolta e trasmissione dei dati sulle emissioni di tali impianti. I limiti di emissione per i grandi impianti nuovi ed esistenti sono invece riportati nell’Allegato II.

Valori limite di emissione per gli ossidi di azoto che devono essere applicati agli impianti nuovi, ad eccezione delle turbine a gas (All. II alla parte V del D.Lgs. 152/2006).

Valori limite di emissione per il biossido di zolfo che devono essere applicati ai “grandi impianti” nuovi, ad eccezione delle turbine a gas (All. II alla parte V del D.Lgs. 152/2006).

Entro il 31 maggio di ogni anno, i gestori dei grandi impianti di combustione devono comunicare all’Agenzia per la protezione dell’ambiente e per i servizi tecnici (APAT), con le modalità previste dal decreto (parte III dell’Allegato II alla parte V), le emissioni totali, relative all’anno precedente, di biossido di zolfo, ossidi di azoto e polveri, determinate conformemente alle prescrizioni (parte IV dell’Allegato II alla parte V), nonché la quantità annua totale di energia prodotta rispettivamente dalle biomasse, dagli altri combustibili solidi, dai combustibili liquidi, dal gas naturale e dagli altri gas.

Agli impianti di combustione di potenza termica nominale inferiore a 50MW (ed agli altri impianti esclusi dal campo di applicazione della parte V del decreto) facenti parte di una raffineria, si applicano, fatto salvo quanto previsto dalla normativa sull’Autorizzazione Integrata Ambientale, i valori limite di emissione di cui alla parte IV, par. 1 dell’Allegato I, calcolati come rapporto ponderato tra la somma delle masse inquinanti emesse e la somma dei volumi delle emissioni di tutti gli impianti della raffineria.

 

Autorizzazione alle emissioni in atmosfera

Il decreto 152/2006 stabilisce che tutti gli impianti che producono emissioni in atmosfera devono venire autorizzati da un’Autorità competente. L’autorizzazione – da acquisire prima dell’installazione del nuovo impianto o di modifiche sostanziali allo stesso – presenta le modalità di captazione e convogliamento per le emissioni convogliabili, i valori limite, le prescrizioni, i metodi di campionamento ed analisi, il periodo intercorrente tra la messa in esercizio e la messa a regime, il numero di campionamenti.

Si noti che non sono soggetti ad “autorizzazione alle emissioni”, fra gli altri (art. 269, D.Lgs. 152/2006):

  • gli impianti di combustione di potenza termica nominale inferiore a 1 MW alimentati a biomasse di cui all’Allegato X, a gasolio, od a biodiesel;
  • gli impianti di combustione alimentati a biogas di cui all’Allegato X alla parte quinta del presente decreto, di potenza termica nominale complessiva inferiore o uguale a 3 MW;
  • gli impianti di combustione ubicati all’interno di impianti di smaltimento dei rifiuti, alimentati da gas di discarica, gas residuati dai processi di depurazione e biogas, di potenza termica nominale non superiore a 3 MW, se l’attività di recupero è soggetta alle procedure autorizzative semplificate previste dalla parte quarta del presente decreto e tali procedure sono state espletate.
  • gli impianti con emissioni scarsamente rilevanti (ad es. gli impianti adibiti esclusivamente a lavorazioni meccaniche con l’esclusione di attività di verniciatura, trattamento superficiale dei metalli e smerigliature; impianti  di aspirazione situati in laboratori orafi, odontotecnici, etc.).

Per gli impianti soggetti alla normativa Integrate Pollution Prevention and Control (IPPC) (D.Lgs. 59/2005), l’“autorizzazione alle emissioni” è sostituita dall’Autorizzazione Integrata Ambientale (AIA). Le attività soggette ad AIA (Allegato I) sono: attività energetiche; produzione e trasformazione di metalli; industria dei prodotti minerari; industria chimica; gestione dei rifiuti; impianti di incenerimento dei rifiuti urbani; altre attività, quali quelle dell’industria cartaria e alimentare ivi specificatamente definite.

Avere un’autorizzazione non significa poter poi fare ciò che si vuole. L’art. 301 del D.Lgs. 152/2006 sottolinea come, in caso di pericoli – anche solo potenziali – per la salute umana e per l’ambiente, l’operatore interessato deve informarne senza indugio il Comune, la Provincia, la Regione nel cui territorio si prospetta l’evento lesivo, nonché il Prefetto della provincia, per assicurare un alto livello di protezione in applicazione del principio di precauzione (art.174, paragrafo 2, del Trattato CE).

 

Normativa degli impianti termici civili

La normativa relativa agli impianti termici civili (Titolo II, D.Lgs. 152/2006) – cioè gli impianti la cui produzione di calore è destinata al riscaldamento/climatizzazione  degli ambienti o al riscaldamento di acqua per usi igienici e sanitari – comprende 9 articoli e 1 allegato (IX. Impianti termici civili). Si applica agli impianti termici civili con potenza termica nominale inferiore alle soglie stabilite dall’art. 269, comma 14 (impianti non sottoposti ad autorizzazione di cui al Titolo I).

Le caratteristiche tecniche da rispettare per gli impianti termici civili con potenza termica superiore a 35 kW sono riportate nella parte II dell’allegato IX. Per gli stessi impianti i valori limite sono riportati nella parte III dell’allegato IX. I valori di emissione, inoltre, vanno controllati almeno annualmente. Devono essere allegati al cosiddetto “libretto di centrale” i valori di emissione misurati e le indicazioni sul metodo di misura, le date di effettuazione, e il soggetto che ha effettuato le misure.

Per quanto riguarda le caldaie (ad es. domestiche) di potenza inferiore a 35 kW termici, la legge italiana in realtà non specifica le cadenze con cui deve essere effettuata la manutenzione. Il DPR n. 74 del 2013 precisa che le operazioni di manutenzione ordinaria della caldaia devono essere eseguite da ditte abilitate, “in conformità alle prescrizioni e con la periodicità contenuta nelle istruzioni tecniche fornite dalla ditta che ha installato l’impianto”. Dunque, la periodicità è specificata nel libretto d’impianto.

La periodicità degli interventi di manutenzione della caldaia viene stabilita in base alla tipologia di caldaia e alla sua potenza: ad esempio, per gli impianti termici a combustibile liquido o solido con potenza uguale o minore di 100 kW, la revisione della caldaia (con il controllo dei fumi) deve essere effettuata ogni 2 anni. Se invece non sono state fornite indicazioni né sul libretto della caldaia né sul manuale d’istruzioni, allora dovrete rispettare la periodicità prevista dalle norme UNI e CEI.

 

Qualità dell’aria: limiti e monitoraggio

La norma quadro in materia di controllo dell’inquinamento atmosferico è rappresentata dal D. Lgs. 155/2010 – in attuazione della direttiva 2008/50/CE relativa alla “Qualità dell’aria ambiente e per un’aria più pulita in Europa” – il quale ha abrogato il D. Lgs. 351/99 e i rispettivi decreti attuattivi (il DM 60/02, il D.Lgs. 183/2004 e il DM 261/2002), che  fornivano modalità di misura, indicazioni sul numero e sulla collocazione delle postazioni di monitoraggio, limiti e valori di riferimento per i diversi inquinanti.

Il D.Lgs. 155/2010 contiene, innanzitutto, le definizioni di “valore limite”, “valore obiettivo”, “soglia di informazione” e “soglia di allarme”, “livelli critici”, “obiettivi a lungo termine” e relativi “valori obiettivo”. Il Decreto, inoltre, individua l’elenco degli inquinanti per i quali è obbligatorio il monitoraggio (NO2 , NOx, SO2, CO, O3, PM10, PM2.5, Benzene, Benzo(a)pirene, Piombo, Arsenico, Cadmio, Nichel, Mercurio, precursori dell’ozono) e stabilisce anche le modalità della trasmissione ed i contenuti delle informazioni sullo stato della qualità dell’aria, da inviare al Ministero dell’Ambiente.

Il “valore limite” è il livello che deve essere raggiunto entro un termine prestabilito e che non deve essere successivamente superato. Il “valore obiettivo” è il livello da conseguire, ove possibile, entro una data prestabilita. Il “livello critico” è il livello oltre il quale possono sussistere rischi o danni per ecosistemi e vegetazione, non per gli esseri umani. La “soglia di allarme” è il livello oltre il quale sussiste pericolo per la salute umana, il cui raggiungimento impone di assicurare informazioni adeguate e tempestive.

Continuando, in tema di definizioni, la “soglia di informazione” è il livello oltre il quale sussiste pericolo per la salute umana per alcuni gruppi sensibili, il cui raggiungimento impone di assicurare informazioni adeguate e tempestive. L’“obiettivo a lungo termine” è il livello da raggiungere nel lungo periodo mediante misure proporzionate. L’“indicatore di esposizione media” è il livello da verificare sulla base di selezionate stazioni di fondo nazionali che riflette l’esposizione media della popolazione. Infine, l’“obiettivo nazionale di riduzione dell’esposizione” è la riduzione percentuale dell’esposizione media rispetto ad un anno di riferimento, da raggiungere entro una data prestabilita.

Il suddetto provvedimento legislativo individua nelle Regioni le autorità competenti per effettuare la valutazione della qualità dell’aria, nonché per la redazione dei Piani di Risanamento della qualità dell’aria nelle aree nelle quali siano stati superati i valori limite. Sono stabilite anche le modalità per la realizzazione o l’adeguamento delle reti di monitoraggio della qualità dell’aria (Allegato V e IX). L’allegato VI del decreto contiene, invece, i metodi di riferimento per la determinazione degli inquinanti. Infine, gli allegati VII e XI, XII, XIII e XIV riportano i valori limite, i livelli critici, gli obiettivi a lungo termine e i valori obiettivo rispetto ai quali effettuare la valutazione dello stato della qualità dell’aria.

Valori limite dei vari inquinanti (Tab. 1 All. XI D.Lgs. 155/2010).

Soglie di informazione e di allarme per l’ozono (Tab. 1.5 All. XII D.Lgs. 155/2010).

Valori obiettivo per arsenico, cadmio, nichel e benzo(a)pirene (Tab. 1.6 All. XIII D.Lgs. 155/10).

Di recente sono stati emanati il DM Ambiente 29 novembre 2012 che, in attuazione del D.Lgs. n.155/2010,  individua le stazioni speciali di misurazione della qualità dell’aria, il D Lgs. 250/2012 che modifica ed integra il Decreto Legislativo n.155/2010 definendo anche il metodo di riferimento per la misurazione dei composti organici volatili, il DM Ambiente 22 febbraio 2013 che stabilisce il formato per la trasmissione del progetto di adeguamento della rete di monitoraggio e il DM Ambiente 13 marzo 2013 che individua le stazioni per le quali deve essere calcolato l’indice di esposizione media per il PM2,5.

Il DM 5 maggio 2015 stabilisce, invece, metodi di valutazione delle stazioni di misurazione della qualità dell’aria di cui all’articolo 6 del D.Lgs. 155/2010. Negli allegati I e II, è descritto il metodo di campionamento e di analisi da applicare in relazione alle concentrazioni di massa totale e per speciazione chimica del particolato (PM10 e PM2.5) e da applicare per gli idrocarburi policiclici aromatici diversi dal benzo(a)pirene. Il DM 26 gennaio 2017 modifica il D.Lgs. 155/2010 recependo i contenuti della Direttiva 1480/2015 in materia di metodi di riferimento per la determinazione degli inquinanti, procedure per la garanzia di qualità per le reti e la comunicazione dei dati rilevati e in materia di scelta dei siti di monitoraggio.

Queste informazioni non sostituiscono in alcun modo la consulenza di uno studio legale specializzato, ma vogliono essere solo una prima introduzione all’argomento. Si prega inoltre di segnalare eventuali errori residui od omissioni riscontrati in questa pagina a: info@inquinamento-italia.com. 

 

Riferimenti bibliografici

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